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Contratti, fino a otto rinnovi senza causale

Cambieranno le disposizioni contenute nella bozza di decreto legge che semplifica la normativa su contratti a termine e apprendistato. Quando entrerà in vigore il provvedimento, spiega un comunicato del ministero del Lavoro, il datore di lavoro «potrà sempre instaurare rapporti a termine senza causale, nel limite di durata massima di 36 mesi». Non solo. Si potrà anche prorogare il contratto a tempo in corso di svolgimento «fino a un massimo di otto volte», purché sempre nei limiti dei tre anni. Come unica condizione per le proroghe rimarrà il fatto che i rinnovi si dovranno riferire «alla stessa attività lavorativa per il quale il contratto è stato inizialmente stipulato».

In concreto ciò significa il superamento della disciplina attualmente vigente (frutto delle rigidità introdotte dalla legge Fornero e del primo intervento correttivo del decreto Giovannini) che limita l’acausalità, cioè l’esonero per il datore di specificare i motivi per cui appone un termine al rapporto, al solo primo contratto di lavoro a tempo determinato della durata di 12 mesi. Ora il termine si innalza a 36 mesi, e si consentono fino a un massimo di otto proroghe senza indicare la causale (resta solo il riferimento per il rinnovo «alla stessa attività lavorativa» – da intendersi le stesse mansioni, che fa certamente più chiarezza).

Si conferma invece l’introduzione, ex lege, di un tetto del 20 per cento di contratti a termine che ciascun datore di lavoro potrà stipulare rispetto al proprio organico complessivo. Ma il decreto, aggiunge il ministero, fa comunque salvo quanto disposto dall’articolo 10, comma 7, del dlgs 368 del 2001, che da un lato lascia alla contrattazione collettiva la possibilità di modificare tale limite quantitativo, e dall’altro tiene conto delle esigenze connesse alle sostituzioni e alla stagionalità. E per le realtà imprenditoriali più piccole (e questa è un’altra precisazione importante) è previsto che chi occupa fino a cinque dipendenti «può comunque stipulare un contratto a termine».

I chiarimenti di Giuliano Poletti arrivano dopo le contraddittorietà contenute nella bozza di dl esaminata mercoledì dal consiglio dei ministri, evidenziate ieri da questo giornale. Con le modifiche annunciate dal governo si va verso una decisa semplificazione dei contratti a termine, sulla scorta di quanto già chiesto dalle parti sociali al precedente ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, da sperimentare, per un periodo limitato, in vista di «Expo 2015» (operazione poi rimasta sulla carta). Ma che ora Poletti, con coraggio, generalizza e mette nero su bianco in un decreto-legge. Se le aperture del ministero del Lavoro si confermeranno nel testo ufficiale del dl, che ora deve essere firmato al Quirinale prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, si tratterebbe di un netto segnale di attenzione per le esigenze delle aziende, visto che il contratto a termine rappresenta il 60% delle nuove attivazioni. Una liberalizzazione che dovrebbe essere in linea anche con la direttiva Ue n. 70 del 1999 (da noi recepita nel 2001 in modo eccessivamente stringente, e in più nel 2012 peggiorata dalla legge 92).

Il comunicato del ministero del Lavoro non fa cenno, invece, agli intervalli tra un contratto a termine e il successivo, che il decreto 76 ha riportato a 10 o 20 giorni (a seconda della durata del rapporto, se cioè inferiore o superiore ai sei mesi), dopo che la legge Fornero li aveva allungati oltremodo (rispettivamente a 60 o 90 giorni). Così quindi il regime degli “stop and go” rimarrebbe quello oggi previsto.

Per quanto riguarda l’apprendistato il dl confermerebbe l’intervento sul piano formativo, per il quale non è più richiesta la forma scritta (che resta invece per il solo contratto e patto di prova). Si abrogano poi i commi 3-bis e 3-ter del dlgs 167 del 2011 (il Tu Sacconi), introdotti dalla legge Fornero, e quindi si cancellano le attuali previsioni secondo cui l’assunzione di nuovi apprendisti è necessariamente condizionata alla conferma in servizio di precedenti apprendisti al termine del percorso formativo (30% fino al 2015, poi 50%). Ora queste percentuali non ci saranno più.

Si interviene anche sull’apprendistato di primo livello (quella per il diploma o la qualifica), in vista dell’imminente avvio del programma sperimentale, 2013-2015, di apprendistato a scuola contenuto nel dl Carrozza. In particolare, si viene incontro alle imprese, prevedendo che la retribuzione dell’apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, sia pari al 35% della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento. Per il datore di lavoro, infine, viene eliminato l’obbligo di integrare la formazione di tipo professionalizzante e di mestiere con l’offerta formativa pubblica, che diventa un elemento discrezionale.